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Patere e formelle: cosa sono, e dove farne fare una su misura a Venezia?


Ognuno di noi è unico e irripetibile, sembrano dirci le case veneziane: se ci guardate bene, anche le più modeste portano un segno distintivo (un battacchio, una finestra, un’altana o una patera, o semplicemente il colore) che rende ogni casa diversa da quelle vicine. Pensate alla differenza rispetto ai canoni costruttivi più recenti che ci omologano in edifici sempre più simili fra loro, ad ammonirci che per qualcuno siamo soltanto dei numeri! Questi dettagli esprimono una filosofia di vita, l’umanesimo di una città che al centro aveva posto l’essere umano. Polvere siamo e polvere ritorneremo? “D’accordo, ma guardate  di cosa siamo capaci” – sembrano volerci dire quei folli che sull’acqua costruirono una città unica al mondo. Quando cammino a Venezia mi piace fotografarli, questi piccoli dettagli, e oggi vorrei parlarvi di “patere” (con accento tonico sulla a) e formelle: quelle che decorano i muri esterni di molte case veneziane.

“Patere” vengono chiamate quelle di forma circolare, “formelle” le altre. A Venezia se ne contano circa duemila (già, per fortuna c’è chi le ha recensite!) e generalmente sono in pietra, incastonate sui muri o sulle colonne portanti. Numerosi sono ovviamente i leoni alati (simbolo di San Marco ed emblema della Serenissima), ma la tipologia è molto variegata. Una catalogazione sistematica la troverete in: Alberto Rizzi, Scultura Esterna a Venezia (1987).

Quando portano la scritta (digramma) SR, significa che l’immobile apparteneva alla Scuola Grande di San Rocco (sulle Scuole veneziane, rinvio all’ottimo sito di Cesare Peris: http://www.veneziamuseo.it/ARTI/a_arti_caxa.htm). Quelle a carattere religioso portano spesso il trigramma cristologico IHS, ma non mancano quelle che raffigurano determinati mestieri o il loro santo protettore, come questa in Riva del Vin:

Altre rappresentano la casata di chi viveva in quell’edificio, come questa della famiglia Dolfin, che a Venezia diede anche un Doge e a me piace in modo particolare, per i tre delfini che secondo la leggenda simboleggiavano le abilità natatorie dei primi rampolli della casata, o forse (anche) la loro intelligenza:

Lo stemma dei Dolfin lo ritroviamo anche su questo ponte, dove è affiancato a quello della famiglia Molin (il primo a destra): i ponti erano costruiti a cura dello Stato e ad opera ultimata venivano ornati con gli stemmi dei tre provveditori che avevano deliberato il manufatto. Un grazie a Gigio Zanon che nel vedere la foto ha subito identificato lo stemma, e a Massimo Tomasutti che altrettanto prontamente ne ha confermato la classificazione.

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Le patere più antiche sono bizantine (spesso zoomorfe, e ad ogni animale era associata una simbologia complessa) come queste del XIII° secolo che non sono visibili dalla calle perché adornano la parete (cieca) di un Palazzo altrettanto antico, contiguo a quello che ospita Rialtofil:

..e queste, a due passi da Santa Maria dei Miracoli:

Peccato – diranno in molti – che questa tradizione sia andata persa! Persa? A Venezia nulla si perde, al massimo si rigenera come la Fenice che dà il nome al nostro più famoso teatro: a due passi da Campo San Polo c’è un artigiano che ne fa di meravigliose, ma in terracotta (più adatte gli interni, rispetto a quelle in pietra) e con l’amore dei veri artigiani. Volete fare (o farvi) un regalo non banale? Volete rendere unica la vostra casa? Si chiama Giovanni Vio. Passate a trovarlo, e se volete ditegli pure che vi manda Rialtofil, ma vi tratterà bene comunque, perché è una di quelle persone che adora il suo lavoro e lo svolge con la passione di chi si sente erede di una tradizione. Da qualche giorno ha anche il suo sito internet, grazie al quale potrete farvi un’idea dei suoi prezzi:  http://www.vioartfactory.com/

A Venezia ce ne sono ancora, di persone così, e presto vi parlerò di altri artigiani che ho il piacere di conoscere personalmente: perché se Rialtofil vi “raccomanda” qualcosa o qualcuno, lo fa solo quando sa di chi e di cosa parla.  La crisi economica si combatte anche continuando a produrre le cose che sappiamo fare, acquistando i prodotti legati al nostro territorio e facendoli conoscere agli amici. Se ce lo ricorderemo, da questa crisi usciremo più forti di prima.

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